Per molti secoli l’”Oriente” è stato un non luogo, un posto di cui si favoleggiava ma si sapeva poco o nulla. Tutta quella enorme porzione del nostro pianeta veniva spesso confusa con un generico e fantasioso mix esotico fatto di colori, sapori e usanze a noi estranee quando non addirittura ostili. C’era, tra Oriente e Occidente, una vera e propria contrapposizione ontologica e antropologica.
Ne è testimonianza tutta l’Arte, dalla letteratura in su – Salgari, ma non solo lui, si inventa un Oriente che non esiste – passando per la Musica lirica sino alla prima metà del Novecento.
In quegli anni Giacomo Puccini, uno dei più grandi compositori italiani e mondiali tout court, scriveva Madama Butterfly ambientandola in Giappone (1904) e l’estrema Turandot (1924, incompiuta) collocando la vicenda in Cina sulla traccia di un orientalismo che era cominciato in Francia a metà dell’Ottocento e che aveva visto protagonisti poco lontani dallo stereotipo di un Sandokan.
In Butterfly i personaggi hanno patronimici assurdi e peggio ancora va con Turandot dove le tre Maschere rispondono a nomi come Ping, Pong e Pang: onomatopee più che nomi propri.
Eppure il mondo dell’Arte avrebbe potuto beneficiare – per assurdo – delle conoscenze di una delle attività peggiori dell’uomo: il colonialismo, di cui gli Europei e gli Inglesi in particolare furono imitatissimi maestri. Ma niente, l’Occidente ha continuato a far confusione tra Cina, Giappone, Iran, India ecc
Uno dei fotografi che più ha contribuito a farci conoscere la sua terra e in particolare Hong Kong è stato Fan Ho (1831-2016) conosciuto anche come l’Henri Cartier-Bresson orientale (ma a noi sembra una diminutio, l’ennesimo gesto coloniale prevaricatore).
Considerato un Maestro del bianco e nero e uno dei padri della street photography, Fan Ho con le sue foto ha contribuito a farci conoscere le similitudini tra Occidente e Oriente e non ad accentuare le differenze tra i due emisferi.
Le sue foto ritraggono spesso gente comune – cioè noi, tutti noi – nelle città o meglio contro le città che sono tutto fuorché a misura d’uomo a causa della urbanizzazione selvaggia: per affollamento, per alienazione da lavoro, per mancanza di spazi e di verde, per l’inquinamento e per tanti altri motivi ancora.
Eppure con le sue immagini Fan Ho trova anche il bello, la poesia, nel caos quotidiano.
Fan Ho è un altro di quei fotografi che ci sono cari perché ha dichiarato pubblicamente che le sue foto sono state influenzate dalla musica (amava Brahms, Mahler, Stravinskij), dal teatro (Shakespeare e le tragedie greche) e dalla letteratura (Hemingway).
Presto la nostra associazione organizzerà due workshop: street photography e bianco e nero.
Sicuramente nelle parole dei tutor, qua e là e facendo attenzione, si potrà intravvedere qualche traccia di questo straordinario fotografo.